Capita spesso di organizzare delle proiezioni private. Questo significa, per una cinefeticista (ossia una che guarda tutto di tutto senza porsi grossi problemi), affrontare una difficoltà enorme: scontrarsi con i gusti degli altri. La mia amica Adele, per esempio, preferisce ridere o ama le commedie romantiche come “Juno” e “Il club delle prime mogli”. Il mio editore Massimo, invece, adora Stanlio e Ollio, e questo presenta un problema molto importante perché la loro comicità è di difficile comprensione per molti, così per tornare al discorso del precedente post sull’argomento.

Poi c’è chi odia il cinema italiano di oggi, perché indugia troppo spesso su storie reali o verosimili, con i dovuti distinguo però, orientati soprattutto verso il film drammatico come “Il divo” o “Romanzo criminale”.

Ho abbastanza esperienza nel campo del cinema per dire che a volte anche mostri sacri come Woody Allen a volte non imbroccano quella giusta. Sono rarissimi i registi che riescono a fare tutti film di assoluta qualità, nel passato era Stanley Kubrick ad esempio, nel presente sono Spike Lee o David Lynch, per chi ha lo stomaco giusto per assorbirlo, dato che non è un regista per tutti.

Ma tornando all’Italia, esistono dei buoni registi, ma forse si dovrebbero allontanare a volte dalla loro formula. Registi come Paolo Virzì o Daniele Luchetti sono divertenti e raccontano l’Italia media, quella della gente normale, con un’ironia straordinaria, tuttavia a molti non piace. Non piace perché la fiction, la capacità romanzesca dovrebbe essere maggiormente al servizio della fantasia, non della realtà. Il cinema è una forma d’arte che dovrebbe essere simile al romanzo (fiction, in inglese, appunto), e anche se questo spesso ha preso spunto dalla realtà, pensiamo ad esempio alla narrativa dickensiana che comunque appartiene a un tempo andato, possiede una cospicua parte d’immaginazione.

Le storie del cinema italiano del passato, storie grottesche come “Straziami ma di baci saziami”, “Piccola posta” o “Dove vai in vacanza”, non sarebbero apprezzate oggi, perché parlerebbero di qualcosa di anacronistico. Eppure continuano a far ridere e affascinare. E allora qual è il problema? Il problema è che i registi considerano quelle storie anacronistiche, non lo spettatore, che continua a rivedere Totò in “Totò, Peppino e la malafemmina” e a ridere. Segno che non abbiamo smarrito del tutto il buon gusto e la risata non indotta dalle oscenità. Per fortuna.

Se ne salvano davvero pochi di film italiani, comici o commedie, che tutti possono apprezzare. Un film trasversale che ho molto apprezzato e che mescola dramma e ironia, negli ultimi anni, è “Il caimano” di Nanni Moretti. Al di là della questione di Silvio B., che a mio avviso è marginale, perché racconta delle cose di lui che in fondo sappiamo tutti, è una storia davvero bella, di un fallito del cinema italiano, che non riesce più a raccontare storie irreali quanto basta per fare successo. Un segno dei tempi che sono cambiati, nonostante qualcuno si salvi, anche se in base a un gusto squisitamente personale (adoro Luchetti e Virzì, in altre parole). In peggio.

Angela Leucci

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