Qualche tempo fa, riflettevo su cosa significa scrivere, sul significato che ogni scrittore dà all’atto creativo. È uno dei motivi per cui esiste il corso “La medicina della scrittura”. Grazie a Serena di Gru Edizioni, ho potuto girare le domande agli autori pubblicati dalla casa editrice padovana per creare questo lungo post.

Ne è uscito un mosaico molto interessante, nel quale trovano posto diversi approcci, escono fuori le più disparate motivazioni, accomunate dall’amore per l’arte e la scrittura in particolare.

Lo stato dell’arte in Italia, il comportamento delle case editrici del Bel Paese, e il possibile contributo al mondo dell’arte, sono altri temi dibattuti durante questa piacevole chiacchierata virtuale con tanti giovani autori, vogliosi di dire la loro e di lasciare un segno.

Fabio Elia, autore del romanzo Warszawa, ha le idee chiare in tal senso, dimostrando, dopo averlo fatto attraverso le pagine del suo romanzo, una grande intelligenza.

Quello che si prova mentre si scrive è una continua tensione: contenti d’aver infilato due parole buone ed ecco che c’è da cominciare una nuova frase, e chissà se ci piacerà come quella precedente.

Personalmente, le maggiori soddisfazioni le ho alla prima rilettura del mio lavoro. È lì che di solito mi pervade la sensazione di aver tirato giù qualcosa d’interessante, profondo, o anche solo divertente, e in alcuni casi armonico. Certo, il valore della propria opera uno non potrà mai coglierlo: non nota le carenze, figurarsi i punti di forza.

L’emozione scatenante è invece tutt’altro paio di maniche. Quella è per davvero unica, e intensa come poche altre. A me succede che sono per strada, a letto nell’anticamera del sonno, a tavola, a un tratto mi zittisco per un po’ e sic!, idea venuta fuori. Ed è quello il momento più prezioso, quello in cui m’affaccendo per scovare una qualunque superficie scrivibile per registrare i pensieri e non lasciarli svanire. Poi magari, una volta riletti, nel momento in cui dovrei dar loro una forma e un significato, mi si parano innanzi in tutta la loro banalità o peggio ancora nel loro inestricabile caos: non ce ne si accorge subito, e certe volte non ce ne si accorge proprio, ma spesso capita di scrivere cose comprensibili soltanto a noi stessi, comprensibili perlomeno in quel preciso istante e per poco tempo ancora, dopodiché saremo persino noi stessi a chiederci in quale razza di volo logico c’eravamo arrischiati, dando vita a quei pensieri. Quali non saranno mai da buttar via, ma neanche da propinare a terzi.

Per quanto riguarda lo stato dell’editoria in Italia, non posso sbilanciarmi più di tanto dal momento che non ho idea di come funzioni all’estero. L’editoria a pagamento, per esempio, non so se esista anche in altri paesi; probabilmente sì, ma non so in quali proporzioni. E’ una cosa schifosa, l’editoria a pagamento: strozzini che vogliono estorcere il denaro di autori esordienti, e perciò a parer loro necessariamente ingenui, mediante la promessa di Velli d’oro e lanci promozionali strabilianti. Se posso dare un consiglio, io che ci sono passato e l’ho anche vissuto in una maniera un po’ burrascosa, mi rivolgo a ogni autore d’Italia: NON accettate mai di pubblicare la vostra opera previo pagamento. Ché lo si fa per ignoranza (salvo in rari casi).

Perciò, riprendendo un pensiero di Massimiliano Mistri di Edizioni La Gru, credo che l’editoria sia un mondo sul quale bisognerebbe istruire fin dai tempi della scuola: media, o superiore, di certo non elementare. Dovrebbe essere parte del programma scolastico, chessò, un dieci ore l’anno almeno, più che sufficienti per educare ciascuno di noi sulle basi dell’industria editoriale. Primo, per cultura. Secondo, onde evitare che spiriti gretti come quelli a capo di talune “stamberghe editrici” sedicenti “case” possano andare in vacanza sfruttando (e umiliando) la spaventosa mole di lavoro di un qualche autore. Al riguardo ebbi una discussione accesa con la Giovane Holden Edizioni, una di quelle che esige millate d’euro per “pubblicare” un libro. Libro di cui si degna di verificare, se va bene, che ai punti e virgola seguano vocaboli con l’iniziale minuscola e non maiuscola.

Piuttosto, è meglio attendere che una casa editrice seria si faccia avanti, che sia davvero interessata alla pubblicazione della propria opera. Nel frattempo, la strada migliore sono a mio avviso i concorsi letterari: ce n’è per tutti i gusti e garantiscono – quasi – sempre buona risonanza e onestà intellettuale.

Meri Nigro, autrice del diario “Il Mendicante di Pensieri” ha delle uscite illuminanti. L’amore per la scrittura traspare dalle sue parole.

Scrivere una storia è come affrontare un viaggio di cui non si conosce destinazione. Viaggiare per viaggiare, senza altro scopo.

È vivere tutte le vite o, almeno, pensare a come sarebbe stato. Ti sembra di avere tutto il mondo in una mano, di muovere i fili dell’anima di chi hai immaginato. Scrivere è materializzare un’immagine fino a renderla reale, fino a chiedere allo stesso protagonista come vuole che sia il suo destino. Scrivere è poter sempre scegliere.

È guardarsi dentro e cercarsi in altri volti. È guardare altri volti e trovarsi. È svuotarsi, riempirsi, ridere e piangere. È vivere combinando parole e sentirsi felici quando il suono di una frase fa vibrare un’emozione.

È rincorrere un modo diverso per dire qualcosa di già detto, è aggrapparsi al come. È amarsi. È fermare un pensiero per non dimenticarlo, catturarlo come qualcosa di raro, di unico, che per paura di un non ritorno inchiodo ad un foglio.

Alla fine del viaggio, di ogni viaggio, si ingoia sempre un sorso di nostalgia. Dura solo per quell’attimo che serve ad alzare lo sguardo dall’ultima pagina e soffiarlo fino all’orizzonte. Sai già che l’indomani quegli occhi vedranno l’alba di un viaggio diverso.

L’arte, insieme al cielo, è l’unico concetto sconfinato che riesco a figurarmi.

Per il giovanissimo Paolo Amoruso, quindicenne autore della raccolta di poesie “Piccole Storie Indaco”, la scrittura è vita, e amore. Scrive perché non può fare a meno di farlo, come dovrebbe essere per tutti gli scrittori.

Per me non c’è un quando. La voglia di scrivere è sempre viva dentro di me e il bisogno di farlo anche. Riguardo alla parola fine sul foglio, non ricordo mai quando la scrivo…

Quando scrivo, l’emozione o l’insieme di emozioni che provo sono così tante che quando mi allontano da ciò che ho lasciato su un foglio, attraverso il mio bisogno di sfogarmi o attraverso il mio bisogno di dar vita a qualcosa di speciale con la mia passione, non ricordo mai con che parola ho concluso ciò che ho scritto. Il flusso creativo non finisce mai… non muore mai, continua ad essere vivo in me sino a quando a precederlo non sono le altre emozioni che attraverso la scrittura rendo libere; ecco perché molte volte quando mi chiedono cosa significhi per me scrivere, oltre al rispondere che significa vivere, dico anche che per me scrivere, amare scrivere, significa avere una ricchezza infinita, una ricchezza fatta di emozioni, di sensazioni, di sentimenti, di gioie e tristezze che nella loro unione definiscono ciò che sono realmente, quegli aspetti di me che non sono capace di spiegare agli altri. Molto spesso neanche io stesso riesco a capire cosa provo esattamente quando scrivo; una cosa è certa, ciò che sento assomiglia tanto all’amore, ed io dalla scrittura mi sento amato, sento che la scrittura in qualche modo ha bisogno di me ed io in qualche modo ho bisogno di lei, è un vero amore, l’unico vero amore che riesce a trasmettermi linfa, sicurezza, gioia… linfa vitale.

Non scrivo per proporre i miei scritti alle case editrici, non scrivo per pubblicare un libro, perché se così fosse, starebbe a significare che per me la scrittura è solo un modo per pubblicare un qualcosa, per riuscire ad avere un contratto editoriale e in quel caso io sfrutterai la scrittura e questo non lo farei mai. Neanche un mese fa è uscito il mio primo libro “Piccole Storie Indaco”. La sua pubblicazione mi ha permesso di trasmettere agli altri ciò che dentro mi consumava poco a poco, ciò che avevo bisogno di far venire alla luce, ciò che mi recava sofferenza e che dovevo riuscire a combattere. Beh, le Piccole Storie Indaco mi hanno aiutato a combattere e mi sono liberato finalmente attraverso questo libro di un malessere interiore che ora è diventato una cicatrice, ma non una cicatrice che fa male, una cicatrice ch’è una vittoria, la mia vittoria; e la cosa più importante, la cosa che mi ha reso felice e che mi ha curato è l’aver ottenuto la fiducia di qualcuno, qualcuno che attraverso le mie emozioni, le mie parole, le mie poesie, è riuscito a capirmi.

Attraverso questa comprensione sono riuscito a tornare a sorridere, così è stato: le Edizioni La Gru mi hanno aiutato a spiccare il volo ed ora sono felice, tanto felice.

Riguardo alle difficoltà con le case editrici, io posso dire di essere stato fortunato di aver incontrato Edizioni La Gru; loro secondo me non sono solo una meravigliosa casa editrice, secondo me sono molto di più, loro sono state le uniche due vere persone capaci di capirmi e di sostenermi.

Con questo voglio dire che quando scrivo, non scrivo con l’intento di accumulare più scritti possibili per poi inviarli ad una casa editrice. No, scrivo in primis per me, perché scrivere mi fa bene e mi cura dalla negatività della vita, anzi, confesso che molte volte sono geloso di ciò che scrivo, tanto geloso da nascondere delle pagine.

Tantissimi artisti, che siano scrittori, cantanti o pittori cercano di venire alla luce o semplicemente di essere compresi e ammirati, di essere ringraziati per la loro arte, ma questo accade molto raramente perché il mondo è così preso da mass media e da cose inutili che all’apparenza possono sembrare – per la gente di oggi, sempre più condizionata dal degrado – importanti, che l’arte in Italia, come anche in tutto il mondo, è presa molto poco in considerazione.

Non so se io potrei mai essere un contributo per l’arte nel nostro paese, ma di certo amo scrivere e voglio che in molti lo sappiano.

Last but not least, Valentina Marchese, autrice dell’avvincente romanzo “Dove nasce il sole”, che spiega, tra le altre cose, il suo singolare approccio alla stesura di un romanzo.

Personalmente scrivo da sempre. Avevo nove anni quando ho iniziato a comporre qualche poesia e poi crescendo ho iniziato a scrivere romanzi. Piccole storie che sentivo dentro, maturate con i giorni e poi esplose. In realtà è mia abitudine scrivere l’ultima pagina del romanzo per poi iniziare dalla prima. Ciò mi aiuta a comporre tutta la storia. Devo necessariamente farla finire per poi cominciare.

Non ho mai avuto risposte negative dalle case editrici. Non so se per fortuna o merito. Ad ogni modo, sono stata sempre io a scegliere quale era più vicina alle mie esigenze.

Continuerò a scrivere fin quando la fantasia e gli eventi che vivrò mi aiuteranno a comporre una storia, per poter lasciare ai miei lettori qualcosa di me, e qualcosa che possa servire loro nella vita. Non scrivo per interesse o perché desidero diventi il mio lavoro. Il mio unico desiderio è che le mie parole giungano a più persone possibili e che possa regalare loro piccoli frammenti d’emozioni.

Scrivere fin quando ci sono stimoli per farlo, appunto. Ottimo modo per affrontare ogni viaggio dentro ogni storia.

Leggere queste parole mi fa capire che speranza c’è, per l’arte in Italia. Fin quando ci saranno autori così, e ci saranno cose da narrare, potrà essere attesa con fiducia l’inversione di tendenza dell’italiano medio, che oggi legge poco o nulla.

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