C’è chi, a 6 anni, gioca con i robot, chi apre un profilo Facebook per cercare vecchi amici persi di vista tra una poppata e l’altra, e chi suona il pianoforte. Francesco Negro fa parte di quest’ultima schiera: nato nel 1986, nel 1992 già prende le prime lezioni. A 11 anni l’approdo al Conservatorio di Lecce, a 21 la laurea, al Conservatorio di Frosinone, con argomento la musica del Novecento. Questa sua formazione lo porta ad avvicinarsi al jazz, genere musicale di cui è una delle maggiori promesse nazionali, dopo i seminari frequentati in tutt’Italia, dall’Umbria Jazz alla Berklee School di Perugia. Nel 2009 la maggiore soddisfazione, con la vittoria dell’Italian Jazz Award nella categoria Brand New Act. Proprio da questo premio parte l’intervista.

D: Nel 2009 un grosso riconoscimento. Ti ha cambiato?
R
: Per nulla. Non posso dire che non sia stato gratificante, ma trovo che un premio sia solo un punto di partenza. Un artista non deve avere come obiettivo un premio, altrimenti, una volta raggiunto, come artista è morto per mancanza di stimoli, mentre l’obiettivo ultimo resta esprimere sempre al meglio se stessi. Un premio deve servire come stimolo per migliorarsi, e così è stato per me. D’altronde il grande Ennio Morricone, a 80 anni, mentre tutti gli facevano i complimenti per i successi, disse “devo andare a lavorare”.

D: Qualche artista da cui prendi ispirazione?
R: Non prendo ispirazione, mi piace vedere il bello di tutti i pianisti e seguirli per imparare qualcosa. Ma ci sono amici, più che colleghi, che mi hanno insegnato molto. Penso al sassofonista Martin Jacobsen e al pianista Greg Burk in particolare. Il primo, conosciuto per caso, mi ha portato ad approfondire il linguaggio jazzistico, in una fase in cui volevo sapere più possibile sull’argomento. Mi ha dato poi la possibilità di fare tournée nei Balcani e in Francia, e di avvicinarmi al mondo discografico, grazie al Quartetto Photinx, con un lavoro edito nel 2006. Greg è una persona che mi ha insegnato tantissimo, anche nello stile, ma non solo: sa farti entrare dentro le note, sa fartele sentire davvero. Sembra magia.

D: Un posto dove hai suonato e che ti è rimasto nel cuore, o un episodio che porti dentro?
R: In Francia, un paesino vicino Parigi. Mi piace suonare in posti piccoli dove, appunto, puoi entrare nella dimensione musicale giusta. E in Francia c’è questo paese, dove tutti la sera si vedono in un localino jazz, un club molto seguito. Quando ho suonato lì con Martin, ho sentito il rapporto diretto come non mai.

D: Progetti futuri?
R: Tempo fa, quando ero all’associazione Thelonius Monk, mi piaceva l’aria che si respirava, come la Factory di Andy Warhol. La scuola Silence che sto per aprire a Maglie ha le stesse finalità: insegnare musica ma al contempo far entrare gli alunni in questo mondo. Tanti anni di conservatorio mi hanno fatto capire che bisogna scegliere un percorso musicale, classico o moderno. Nella mia scuola non sarà così, la composizione andrà a braccetto con l’improvvisazione, e i due repertori non saranno scissi. Credo che lo studio dell’improvvisazione, fulcro del repertorio moderno, sia il modo migliore per avvicinare le persone a tutta la musica, anche quella classica. Gli alunni, poi, verranno seguiti individualmente, a ognuno verranno dati gli strumenti per poter sviluppare la propria creatività.

Maggiori informazioni sull’artista sono visibili su www.francesconegro.it

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Jazz, amicizia e passione: Francesco Negro si racconta, 5.0 out of 5 based on 20 ratings