Il ritrovamento di una vecchia nave a Venezia riporta a galla misteri mai risolti.

Valerio Massimo Manfredi è uno di più grandi autori di romanzi storici in Italia. La trilogia “Aléxandros” e le 15 milioni di copie vendute dei suoi romanzi, solo nelle versioni tradotte all’estero, parlano chiaro. Ma con “L’isola dei morti” tratta, in poco più di 70 pagine, di uno dei più grandi misteri miscelando realtà storiche e narrativa pura.
La storia, che parte da uno scavo già attivo nella laguna veneziana, dove viene trovata una galea antica, porta letteralmente a galla misteri sepolti dal fango e dal tempo. Il lettore è subito catapultato in un intrigo internazionale: una fondazione inglese che ha sponsorizzato il recupero della nave sembra interessata a una pergamena trovata a bordo, e che viene sottratta di nascosto da Michael Liddel-Scott, archeologo inglese al soldo del presidente della fondazione stessa, sir Basil Foster. La risposta del protagonista Lucio Masera, archeologo a sua volta, Stefano Marras e Agostino Fanti, è quella di indagare sul motivo del furto da parte di coloro che, a ragion veduta, potrebbero pretendere senza sotterfugi i reperti in nome della cultura.
Con il passare delle pagine e la fortunosa scoperta di cosa c’è scritto sulla pergamena, si risale a Dante Alighieri e alla sua “Divina Commedia”. Il finale, sempre più thriller e mozzafiato, richiama ovviamente “Inferno” di Dan Brown, anche lì l’opera di Dante serpeggia tra le pagine, e altri thriller storici come “Il nome della rosa” e “Il custode delle reliquie”.
L’impressione è che le vicende potevano essere trattate in mille e più pagine, cosa a cui Valerio Massimo Manfredi ci ha abituato (“Chimaira” ad esempio è 1200 pagine circa) ma lo scrittore emiliano ha optato per una storia breve, pur lasciando uno spiraglio su come sia finita sul serio e se si può ulteriormente rincorrere il prezioso reperto segreto. Da leggere e rileggere.