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Protezione e benessere animale, legislatura vigente per gli animali d’affezione: l’abbandono
Nonostante l’intenso dibattito su “protezione” e “benessere” animale, molte sono le interpretazioni che si assumono e di conseguenza molti sono gli equivoci che si creano.
Vorrei un attimo risalire all’origine del significato dei due termini. Il concetto iniziale di protezione nasce con la scoperta utilitaristica che l’uomo ha assunto nei riguardi degli animali: scoprì che gli animali erano non soltanto un importante fonte di alimenti, ma anche di prodotti, di lavoro e più recentemente di compagnia e di affezione. Imparò ad avere cura degli animali e a nutrirli in quanto avrebbero potuto fornire diversi alimenti e dare un grande aiuto nel lavoro, quindi addomesticò gli animali e capì che quanto più li curava maggiori erano i risultati produttivi. In questa fase l’uomo non si cura del problema di carattere etico, ma pensa solo al proprio interesse e alla propria sopravvivenza. In seguito allo sviluppo culturale, civico, industriale, anche la mentalità delle persone è cambiata e l’animale ha assunto un ruolo diverso entrando di fatto nella cultura di un popolo e di una società e misurando di essa il grado di evoluzione. L’uomo nel proteggere un animale non è solo motivato a garantire la sua sopravvivenza, bensì a tutelare e proteggere la sua sensibilità di uomo, che soffre quando vede soffrire un animale. Ancora però il concetto di protezione vede l’uomo al centro dell’attenzione. Questo concetto, comunque, trova uno sviluppo e una attuazione nella consequenzialità col concetto di benessere animale. L’avvento della tecnologia e il progresso della medicina hanno consentito di trarre un maggior profitto dagli animali, ma hanno anche ampliato gli studi di etologia e permesso all’uomo di conoscere meglio le condizioni naturali di vita degli animali, aiutandolo a scoprire che sono esseri sensibili, con esigenze fisiologiche e comportamentali. L’uomo, infine, nel perseguire il benessere degli animali intende ripristinare condizioni di vita degli stessi più simili a quelle dello stato naturale, senza per questo perdere di vista la loro utilizzazione. Questi concetti negli ultimi decenni sono stati tradotti, o meglio si è cercato in qualche modo di tradurli in normative che disciplinino e regolino lo sfruttamento e la detenzione degli animali e la Dichiarazione Universale degli animali, proclamata a Parigi il 15 ottobre 1978, in sede all’UNESCO, resta la pietra miliare sulla quale ogni stato ha cercato di indirizzare la propria legislazione in materia protezionistica.
La Legge aggiornata e tuttora vigente cui si fa riferimento nel nostro Paese è la Legge n. 189 del 20 Luglio 2004. Già il titolo della Legge (“dei delitti contro il sentimento degli animali”) esplicita due concetti importanti, il primo è che gli animali hanno da sempre sentimenti e che quindi non è la legge a definirli esseri senzienti, il secondo è che la legge, da par suo, intende proteggere i loro sentimenti. Con questa normativa finalmente costituiscono illeciti penali: l’uccisone di animali, il maltrattamento di animali, l’organizzazione di spettacoli o manifestazioni che comportano sevizie o strazio per gli animali, i combattimenti fra animali. Il nuovo testo dell’art. 727 c.p. concerne il reato commesso da colui che abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini alla cattività; non si deve intendere per questi ultimi l’animale mansuefatto che, al contrario, è un animale sicuramente selvatico che ha acquisito il “mos reverendi” ma che è libero di riprendere la sua autonoma ricerca di alimenti o di ricovero, senza ritornare obbligatoriamente presso il ricovero abitudinale; sembra si possa riferire ad animali selvatici nati in cattività e che come tali non sopporterebbero l’improvviso stato di abbandono nel quale il detentore dovesse delittuosamente lasciarli. Il nuovo testo dell’art. 727 estende il reato anche alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura ma subordinandolo all’accertamento che tale detenzione produca gravi sofferenze. In passato costituiva delitto solo l’accertamento della semplice detenzione di un animale nelle predette condizioni, ora il reato si integra solo con l’accertamento di gravi sofferenze e quindi, con una diagnosi di un medico veterinario che ne accerti lo stato.
Di particolare interesse sono le sanzioni che la suddetta legge prevede. Infatti, per il reato di abbandono di animali è previsto l’arresto fino a un anno o ammenda da 1.000 a 10.000 euro, pene che si inaspriscono se si considerano reati più gravi come l’uccisione di animali (reclusione da 3 a 18 mesi), o divieto di combattimenti fra animali (fino a 3 anni di reclusione e multa fino a 160.000 euro con aumento della pena da un terzo alla metà se le attività sono compiute in concorso con minorenni o con persone armate, se si utilizzano video protezioni).
In realtà in tema di abbandono degli animali, soprattutto quelli d’affezione, è con la circolare n. 5 del 14 maggio 2001 che il Ministero della Sanità valuta l’efficacia della Legge quadro in tema di animali d’affezione. Questa è la Legge 281/1991, dove il destinatario della norma è lo stesso Stato che emana la disposizione e che si fa carico di promuovere e disciplinare la tutela degli animali d’affezione, di condannare gli atti di crudeltà commessi nei confronti degli stessi animali, di condannare le azioni di maltrattamento, di condannare l’abbandono, ed è con tale Legge che emergono anche nel nostro Paese dei principi innovativi e cioè che la legge non tutela più solamente l’uomo che soffre nel vedere soffrire un animale, distingue il maltrattamento dal comportamento di crudeltà, punisce l’abbandono degli animali come fatto legittimo a sé stante, indipendentemente dalla conseguenza della possibile sofferenza che tale stato procura all’animale. Prima che la nuova stesura dell’art. 727 c.p., estendesse a tutte le specie animali il reato di abbandono, la legge 281/1991 inasprisce le contravvenzioni e persegue come fatto illecito anche lo stato di sofferenza del solo animale, lo stato di maltrattamento, lo stato di abbandono. Tornando alla circolare n. 5 del 2001, è qui che si afferma che l’anagrafe dei cani corrisponde all’esigenza nazionale della massima trasparenza ai fini di consentire l’immediata identificazione di tutti i cani del territorio, questo è un intervento finalizzato alla responsabilizzazione dei proprietari, oltre che a facilitare i compiti di controllo dell’autorità sanitaria.
Proviamo ora a valutare i dati aggiornati degli abbandoni di cani nell’estate del 2011.
Secondo i dati riportati da AIDAA (Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente) calano in maniera sensibile le segnalazioni relative agli abbandoni di cani nel periodo compreso tra il 23 luglio e il 4 settembre 2011. Quest’anno le segnalazioni verificate giunte via sms o via telefono alla centrale operativa dell’associazione sono state 4196 (1073 per le autostrade) rispetto alle 5146 dello scorso anno con una diminuzione di circa il 20%. Tra le regioni dove si registra ancora il maggior numero di abbandoni troviamo Sicilia, Sardegna, Calabria, Lazio e Campania. Migliora la situazione in Puglia, stabile nelle altre regioni del centro nord. Per quanto riguarda le segnalazioni relative alle singole città, la maglia nera spetta a Napoli con 354 seguita da Roma con 335. Tra le città col minor numero di segnalazioni ricordiamo Aosta con solo 2 segnalazioni pervenute e Milano con 8 segnalazioni.
I dati sono certamente di sollievo, soprattutto per chi come l’associazione AIDAA è impegnato quotidianamente a combattere col fenomeno randagismo e di conseguenza con l’abbandono, sicuramente la legislazione attuale e un crescente senso civico che si cerca di instaurare soprattutto nei più giovani e nelle scuole, hanno giocato un ruolo importante, però la strada è ancora molto lunga e la legislazione a mio parere è incompleta e ambigua.
Molto c’è da lavorare per quanto riguarda la responsabilizzazione di chi adotta un animale d’affezione e mi sovviene l’esperienza di una mia cliente che quando era residente in Svizzera, prima di trasferirsi nel Salento, ha dovuto seguire un corso della durata di 3 mesi, col proprio cane, per poter adottare e farsi riconoscere come proprietaria del suo stupendo labrador. In Italia è previsto un patentino. Personalmente sono riconosciuto idoneo a tenere dei corsi per l’acquisizione del patentino, e sebbene il principio ispiratore sia lo stesso che ha ispirato i legislatori elvetici, le modalità di applicazione di tale iniziativa sono fondamentalmente assurde. Mentre, da altre parti, chiunque voglia adottare un cane è costretto a seguire un corso con tanto di certificazione finale, in Italia lo stesso corso è facoltativo, a spese del proprietario e si prevede l’obbligatorietà solo in casi estremi, per esempio, per chi è stato condannato per danni provocati a persone dal proprio cane.
Molto c’è da lavorare per un’anagrafe canina non solo regionale ma nazionale, dove si possano facilmente intersecare i dati delle diverse Regioni.
Molto c’è da lavorare sull’effettiva applicazione delle pene previste dalla normativa.
Sarebbe davvero un compenso giusto e doveroso per i nostri animali poter leggere un giorno delle cifre che parlano di casi di abbandono: 0.
Luca Andriani (veterinario)
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo il 1 ottobre 2011 alle 08:44, ed è archiviato come La voce dell'esperto. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |