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Rush – Oltre il limite
L’epica sfida tra Niki Lauda e James Hunt in un film
“Esistono due categorie di persone nella vita: chi ha paura della morte o ancor peggio della vita e cerca di avere un’intera esistenza sotto controllo e chi, audace e impavido al limite della follia, non ha paura di andare oltre il gradino che lo avvicina alla morte e trionfa, riuscendo, anche per un solo istante, a superare i propri limiti.”
L’attuale Formula Uno rasenta l’esatto opposto di ciò che era, essenzialmente, un trentennio fa. Oggi l’incognita principale da porsi è indovinare il set di gomme che per il lungo tratto di gara, ti porteranno ad essere competitivi e vincere. Negli anni ‘70, invece, l’incognita per ogni pilota, per qualsiasi addetto al lavoro, era provare ad indovinare chi avrebbe lasciato le cuoia per quell’appuntamento e per l’altro ancora.
Il 2013 sarà l’anno in cui in tutto il mondo verrà proiettato sugli schermi “Rush”, capolavoro preannunciato diretto da Ron Howard (A Beautiful Mind, Apollo 13, Cinderella Man). La pellicola, tratta da una storia vera, racconterà la rivalità tra l’austriaco Niki Lauda e l’inglese James Hunt, culminata nel 1976 in Giappone, all’autodromo del Fuji. Lauda ai tempi era un pluricampione osannato dagli sportivi di tutto il mondo. Correva per la scuderia migliore al mondo, una certa Ferrari (ndr. dopo l’incidente del 1976 che lo lasciò sfigurato, affermava che preferiva il suo fondoschiena a un bel viso, proprio perché era convinto, a ragione, che una vettura si guida soprattutto “con il sedere”).
Nel 1976 vantava un campionato del mondo, vinto l’anno precedente. James Hunt invece, in carica alla scuderia inglese McLaren, era un giovanotto coraggioso, dalle belle speranze e determinato a togliere la corona a Lauda.
L’1 agosto 1976 durante il Gran Premio di Germania, sul pericoloso circuito del Nurburgring, Lauda ebbe un gravissimo incidente: dopo aver perso il controllo della propria vettura, colpì una roccia a lato del circuito e terminò la sua corsa in mezzo alla pista, privo del casco scalzatosi nell’urto. La monoposto, però, prese fuoco e il pilota rimase intrappolato nella vettura in fiamme. Grazie al coraggio di alcuni colleghi, riuscì a salvarsi, anche se le sue condizioni rimasero gravissime, non tanto per le pur gravi ustioni subite dal pilota (ancora oggi il suo volto risulta sfigurato), quanto per aver inalato i velenosi fumi della benzina che potevano danneggiare i polmoni e poi il sangue, con conseguenze letali.
Mentre l’austriaco era lontano dalle piste, James Hunt fu in grado di recuperare gran parte dello svantaggio accumulato in campionato, proponendosi come principale avversario del pilota Ferrari. Lauda, mostrando grandissimo coraggio, decise di tornare al volante dopo solo 42 giorni dall’incidente, al Gran Premio d’Italia.
Le sue condizioni erano precarie e fu necessario modificargli il casco per cercare di limitare le perdite di sangue che si verificano con sfregamento sulle ferite del volto non ancora rimarginate; l’autorizzazione della commissione medica arrivò il venerdì mattina, prima delle prove. Dopo aver ottenuto il quinto posto nelle qualifiche, Lauda, seppur martoriato dalle ferite, alcune addirittura ancora sanguinanti, e dal fatto che, a causa dei postumi dell’incidente del Nurburgring, le palpebre non gli offrissero una visione totalmente corretta, giunse quarto in gara, raccogliendo punti importanti per la lotta per il titolo. Il duello con Hunt proseguì fino all’ultima gara, il Gran Premio del Giappone, sul circuito del Fuji. La gara venne corsa sotto una pioggia torrenziale, e Lauda, al secondo giro, rientrò ai box per ritirarsi: le condizioni della pista erano troppo pericolose per gareggiare. Mauro Forghieri, tecnico della Ferrari, gli propose di dare la colpa ad un problema elettrico, ma Lauda preferì prendersi la responsabilità del ritiro.
Hunt proseguì ed ottenne il piazzamento necessario a vincere il titolo, con un punto soltanto di vantaggio sul ferrarista. Il comportamento di Lauda attirò diverse critiche da parte della stampa italiana e da parte della Ferrari, cosa che compromise il rapporto fino a quel momento ottimale. (fonte Wikipedia).
Non saranno dei pneumatici roventi, un motore potentissimo e assordante, un pedale del freno mai accennato e un titolo mondiale a rendere questa competizione come il non plus ultra delle emozioni, dei sentimenti al limite della follia, in equilibrio e in contrapposizione con due poli inversi come la vita e la morte. È la determinazione indefinibile, sono due palpebre sanguinanti ed intrise di dolore, è il coraggio di voler mantenere i limiti che per una vita si è riusciti a superare, ma allo stesso tempo ti portano ad essere un uomo e saper accettare la sconfitta, arrendendosi all’evidenza e non potendo dimostrare quando non c’è più niente da dimostrare agli altri, forse, ma soprattutto a se stessi. È l’immane forza di volontà di rimettersi in gioco anche quando si cade brutalmente e se andrà bene, vincere nella vita ed essere a un passo dal cielo.
I valori assoluti di questi tempi d’oro ormai andati da quasi un quarantennio non sono passati di moda, anzi, sono vivi in ognuno di noi. Gente che ha vissuto direttamente questi momenti, chi non era ancora nato e documentandosi ha acquisito una visione nitida, chi un giorno racconterà le gesta di questi due eroici protagonisti anche alle generazioni che seguiranno.
Un film, uno sport, una storia… senza limiti.
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Vincenzo Fotia il 6 agosto 2013 alle 11:00, ed è archiviato come Parole al vento. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |