Qualche tempo fa, qui accennai a uno dei motivi per cui si scrive: per la soddisfazione di vedere i propri sforzi premiati, vedere una storia pubblicata da qualche parte. Ovviamente non è l’unico motivo, ce ne sono altri. Uno di questi è lampante per chi scrive, molto meno per chi non si occupa di scrittura o di arte in generale.

Dipinto acrilico ‘Assassinio di F.Cenci’

Fare arte è terapeutico, semplicemente. Stephen King disse tempo fa che “quando la giornata mi va storta, siedo alla scrivania, faccio morire qualche vecchietta o qualche bambino e il mondo torna a sorridermi”. Fare arte, o nello specifico scrivere, è fare questo. È una motivazione anche più importante rispetto a pubblicare, o cercare il successo, sentirsi realizzato o altro ancora. Questo perché la forza per superare ogni ostacolo è sempre dentro di noi, non in aiuti esterni, psicologi o amici che siano. Noi dobbiamo essere il centro del nostro mondo, non il partner, l’amico fidato o il genitore.

In questo contesto si colloca bene la scrittura. La vita non va sempre come speriamo, Facebook e i link lagnosi dei bimbiminkia ne sono la riprova. E allora cosa fare? Subire il colpo o reagire, principalmente.

Uno dei modi più costruttivi per reagire è appunto creare qualcosa di esclusivo. In una storia lo scrittore mette sempre se stesso, c’è qualcosa di lui in ogni personaggio, che funziona tanto meglio, quanto più lo scrittore crede in se stesso e in quel che sta facendo. Ma, mentre crea, fa un’altra cosa, si sfoga. La scrittura è infatti una delle valvole di sfogo più potenti: quanti scrittori, anche inconsciamente, mettono il loro “nemico” nella storia e gli fanno fare una brutta fine?

Così, mentre scriviamo, apriamo la nostra valvola e scarichiamo tutto quanto ci appesantisce l’anima. Nel protagonista c’è un po’ di noi stessi, la parte che amiamo, nell’antagonista il nostro “nemico”, che può essere anche un’altra parte di noi, che mal sopportiamo, e così via. Facciamo danzare questi personaggi e alla fine della terapia, il mondo torna a sorriderci. Magari un po’ di più se il cattivo di turno fa una brutta fine.

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La medicina della scrittura (1° parte). La terapia dell’arte, 4.9 out of 5 based on 9 ratings

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