Marilyn Manson è un satanista, uno che bistratta la religione cristiana, che inneggia alle droghe e alla violenza. Una persona da evitare, un poco di buono. O no?

“Se la gente mi deve odiare, voglio che lo faccia per i motivi giusti” così si espresse anni fa riguardo la sua figura, o anche “ammiro LaVey perché è uno che incute timore semplicemente esistendo. È il mio modello”.

C’è molta disinformazione sulla sua musica e sulla sua figura, o almeno è questa mia convinzione che mi spinge a scrivere di lui.

È un satanista, nulla di più esatto, nominato Ministro della Chiesa di Satana da Anton Szandor LaVey. LaVey è l’autore della celebre Bibbia Satanica, che ho letto, oltre ad altri testi satanici ed esoterici, e oltre alla Sacra Bibbia. LaVey è anche il fondatore della Chiesa di Satana, e da quando ha nominato Manson suo Ministro, l’artista stesso è diventato satanista. Ma, attenzione, questa Chiesa non officia strani riti né tantomeno immola a Belzebù animali e neonati. “Il culto di Satana è il culto di se stessi” afferma Marilyn Manson.

Bene, partiamo da questo primo punto, dai testi delle sue canzoni. “Soldi in mano e cazzo sullo schermo, chi ha mai detto che Dio è pulito?” dice in Cake and Sodomy, 1994, album Portrait of an american family. In questo verso ce l’ha con i predicatori delle trasmissioni americane via cavo, trasmissioni non censurate, dove questi soggetti cadono in trance mistica, mostrando talvolta parti intime e, infine, chiedendo soldi. In pratica ce l’ha con la mercificazione, non con chi crede e segue il culto. E gli esempi potrebbero essere tanti, anche se mai come in Disposable Teens, 2000, album Holy Wood, è stato più chiaro: “Non ho mai odiato l’unico vero Dio, ma è il dio della gente che odio”. Qual è il dio della gente? Soldi, fama, successo, arrivismo. O anche, come in Astonishing Panorama of the Endtimes, “Uccidi il tuo dio, uccidi la tua televisione”. Non ha mai inneggiato al satanismo puro, o ai sacrifici umani, come forse qualcuno pensa.

Ma passiamo ad un altro aspetto scottante, la droga. Non ha mai nascosto il suo uso (e abuso) di droghe, fino all’overdose e al rischio di morire, ma a giudicare i suoi testi, sembra quasi uno Straight Edge. Già nel 1994, canzone Dope Hat, già citato album d’esordio, Portrait of an american family, dice “L’inganno ci renderà sempre felici, ma tutti noi conosciamo il contenuto del cappello che indosso” nel quale indica nel contenuto del suo cappello, la droga appunto, Dope Hat, uno dei motivi di decadenza del mondo. O anche in The Dope Show, 1998, album Mechanical Animals: “Ce ne sono alcune [di droghe] molto appetibili, ma tutte ti condurranno alla rovina” o Coma White, stesso anno e album, “tutte le droghe di questo mondo non ti salveranno da te stesso”.

Molti si fermano alla musica, alle sue immagini con gli occhi spaiati (frutto di un curioso quanto divertente aneddoto che vi dirò, se siete interessati) senza leggerne i testi o seguire le interviste, e capire la profondità e l’intelligenza del personaggio. Nel 2005 ebbi la fortuna di vederlo in concerto, a Milano, e lì trovai famiglie intere, segno che non tutti si fermano alle apparenze. Certo, erano fianco a fianco con ragazzi che si preoccupavano di dove nascondere le pasticche di LSD, casomai all’interno fosse stato preparato un controllo con cani antidroga. Più o meno le stesse cose che vide un amico alla finale del Festivalbar di molti anni fa. Queste cose ci sono dappertutto, ma, come ha detto Manson in Bowling a Columbine, “all’epoca [del massacro della scuola a Columbine High School] c’era da trovare un capro espiatorio, e io, con le mie canzoni e il mio aspetto, ero un facile bersaglio”.

Dappertutto si possono trovare cose buone e cose cattive, le famiglie intere al concerto di Manson o il tossico al Festivalbar (non intendo sul palco, anche se lì abbondano eheh) ma ormai Marilyn Manson è “l’uomo nero”.

Se proprio vogliamo trovare un filo conduttore, un motivo che ritorna nelle sue creazioni, ce ne sono tre: l’odio (da “odio dunque sono” di Get your gunn, 1994, parafrasando la massima di Cartesio, a “non puoi debellare tutte le cose che odi” di Dogma, 1994) e la decadenza, a inizio carriera, poi la lotta all’ipocrisia, da Holy wood, come in “La morte di una persona è una tragedia, la morte di milioni di persone è solo una statistica”, The Fight Song, 2000. La sua produzione, da un certo punto in poi, denota intelligenza e grossa cultura, ma non per chi guarda lui come il “drogato pazzo satanista”. Ma, come dice Wilde, “parlatene bene o male, ma parlatene”.

L’ho visto in concerto, lo seguo, ma questo interesse non mi ha deviato (anche se alcuni denigratori saranno di parere diametralmente opposto), e come me molti altri, ma se un ragazzo ascolta le sue canzoni e poi imbraccia un fucile e fa una strage, la colpa non è della famiglia, dell’educazione ricevuta o della mancanza di valori. No, è di Marilyn Manson.

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